Staticità e Movimento

di Redazione, Art Tribune, aprile 2011

Continua con successo di pubblico e critica, presso lo Showroom di Selezione Arredamenti, la mostra: Cazzadori-Staticità e Movimento, inaugurata il 9 aprile u.s. L’evento si configura come la ideale prosecuzione delle performances che videro la stessa Cazzadori, con altri artisti, protagonista di straordinarie esecuzioni, impostate sulla ricerca, di materiali e di tematiche, che documentavano la continua difficoltà di conciliare l’inizio e la fine di un percorso. Sono esposte, nell’elegante salone di Selezione Arredamenti, assieme a una ventina di ferri, legni e materiali di recupero, due installazioni formate da sculture originali in plastica e in materiale pressato. Notevole è l’effetto evocativo delle tavole, aiutate, in questo, dallo spazio che accoglie mobili originali e affascinanti. L’esposizione è imperniata sulla ricerca di materiali, di forme, di espressioni che sotto la guida esperta dell’artista esprime effetti, calibrati, di grande valore. Osservando attentamente l’esposizione, si potrà notare come, l’effetto sia quello di vedersi proiettati in un volo, determinato da una serie di riflessioni, intuizioni, impulsi, che portano il visitatore a unirsi alla preparazione lunga e spesso sofferta dell’artista, per approdare a conclusioni visive, che il suo io determina. Il pensiero della Cazzadori, libero, ma contemporaneamente attento, ha percorso un cammino cosparso di curve e di ostacoli, che l’artista ha, con la sua personalità, domato, sfuggendo al banale e al convenzionale. Quando il processo di elaborazione riesce a farsi comprendere dall’esterno, si potrà verificare un’esplosione di sensazioni che si staccano dalla loro sede naturale, per andare a incrociarsi in angoli di poetiche fermate, che assorbono i contorni e li piegano, per riuscire a elaborare l’opera, con i suo contributi contrastati e contrastanti. Maria Teresa Cazzadori si presenta, ancora una volta, al pubblico veronese, accompagnata dalle riflessioni che si riverberano dalle sue opere, frutto della suggestione del pensiero che si scontra con il pensiero, ed elabora lavori, supportati da un continuo, efficace e cesellato senso del contrasto. Ogni opera evoca soggetti che non si vedono, sfumature che si intuiscono, paradigmi che si riempiono di riflessi e di ombre che sono l’asse portante di una riflessione, maturata attraverso gli anni, che offre l’opportunità di staccarsi dal figurativo, per addentrarsi nel materico, elaborato, smembrato, e ricomposto secondo canoni da lei costruiti. Ma talvolta il canone rimane nell’ombra, ignorato e scomposto, per lasciare il passo alla immaginazione prorompente e alla creazione di lavori ideali. E’ una mostra che invita alla riflessione e che dovrebbe dare al visitatore la possibilità di uscire appagato, nell’animo e nello sguardo. 

Il fascino della ricerca

di Vera Meneguzzo, 2008

“Il fascino della ricerca”. Un motto coniato per identificare se stessa, la sua esplorazione nel recinto mai chiuso dell’arte, il porsi autobiografico attraverso un linguaggio sempre più scarnificato, icastico, emozionante, severo. La Cazzadori viene da un figurativo accettato solo come esercizio sviluppatosi in diverse fasi contrassegnate da successivi passaggi in cui era ancora imbrigliata dalle necessità di un segno riferito alla sostanza; dal colore ossequiente alla legge delle concordanze e dei contrasti; da un paziente lavoro condotto sui materiali plastici della ceramica per cavarne, poi, i segreti da trasferire nella pittura. Una lunga maturazione che produce, oggi, ragguardevoli risultati, per opere che paiono scoprirsi sotto la pressione leggera dei polpastrelli che scostano la polvere per lasciare intravvedere soltanto segnali. Affiora, allora, un disegno puramente mentale, fatto di toni parsimoniosi, di tinte indecifrate, sul percorso materico e gessoso simile allo scheletro minimo di un proteo primordiale. Oppure al sistema della genesi su cui sono costruite forme e suoni. O al progetto di un sogno meravigliosamente organizzato. Per la Cazzadori, ciò che conta, non é l’immagine ma la sua traccia. Un realizzare sulla tela la sensazione forte di una presenza, di un ricordo, di un brivido non chiaramente identificati, ma di cui, nel cuore e nella mente, sono rimasti impressi emozioni e parvenze. Un cancello chiuso su una strada in collina, un muro segnato dalle rughe del tempo trascorso, un profilo umano intravisto per un attimo e mai dimenticato. Il tutto sostenuto da assonanze numeriche, fatte di equilibri e di esatte soluzioni, in parallelo alle eterne armonie matematiche e geometriche del mondo.

La verità del linguaggio.

Galleria “Segno Grafico” Venezia, Il Gazzettino, Enzo Di Martino, 2003

Vi sono eventi visivi che dichiarano immediatamente la loro identità senza per questo dover ricorrere alla narrazione o alla rappresentazione di alcunché. E’ il caso delle ultime opere di Maria Teresa Cazzadori che configurano una immaginazione di grande intensità  emotiva affidata essenzialmente alla funzione memorativa delle tracce che l’artista  vi deposita. Si tratta di segnali cui Maria Teresa Cazzadori perviene attraverso  un procedimento lungo e riflettuto, che risulta carico di valenze che hanno a che fare con la storia e la memoria. E’ evidente perciò che l’artista veronese appare consapevole di avere a che fare  con una partita nella quale la posta in gioco non è la rappresentazione ma il linguaggio. Ma il suo lavoro non proviene da un automatismo istintivo ne’ da un abbandono emozionale, bensì da una processualità complessa che riesce a far convivere il gesto ed il progetto, la ragione ed il sentimento. Il linguaggio, l’esercizio dei mezzi espressivi, diviene esso stesso rappresentazione, in un processo di affinamento che talvolta diviene simile a quello della ricerca musicale. Ecco perché la Cazzadori “esibisce” la trama, nei suoi lavori, con un atteggiamento che non oppone resistenza alla manifestazione  dell’opera fatta ad arte, consapevole com’è della necessità di percorrere  tutta intera la via del  “fare l’arte”.  Il linguaggio  diviene allora l’unica possibilità di dichiarare la propria interezza interiore, la sola maniera di attraversare il mondo della fantasia  e dell’immaginazione, nel segno turbolento e rassicurante della poesia.

La monocromia come passaggio

Ferenc Haas, direttore del Museo d’Arte di Szentetdrei (Ungheria), Il Giornale di Budapest, 2001

Mi sento di suddividere la pittura di Maria Teresa Cazzadori, in tre fasi. La prima costituita da parti decorative, la seconda, molto sensibile, fatta di segni che vanno sempre alla ricerca della ” facture” e la terza, mnemonica, di ricerca che va al di là dell’oggetto e diventa quasi del tutto priva di segno e di colore, ed é la più espressiva. E’ questo il periodo in cui lei produce questi effetti sulla frontiera della pittura e della grafica. La pittura si va sempre più rarefacendo, perde cromia, fino a diventare monocroma. Il risultato diventa molto interesante, specialmente là dove possiamo osservare le piccole tramature, sottili movimenti sapientemente organizzati, in parti che si staccano e si ricompongono. I dettagli dei lavori sono di grande raffinatezza. La tecnica, nella grafica, ottiene risultati di particolare pregio perché sono l’ espressione di una personalità forte che si impone sull’opera e che attrae l’osservatore attento ( come mai non le é stata offerta una strada conoscitiva, almeno nell’ambito europeo? misteri dell’arte). La pittura ci permette di capire che l’artista é arrivata, da sola, ad importanti e personalissimi risultati. Le superfici si presentano come espressione di notevole sensibilità e ci invitano a scoprire, talvolta con qualche turbamento, il loro più recondito significato.

L’unità del Molteplice,

Spazio Arte Pisanello, Verona, 1999 –  Il Gazzettino di Venezia, Bruno Rosada

Un fondamentale merito di Maria Teresa Cazzadori é quello di essere riuscita a far fare un passo avanti all’esperienza non figurativa, o aniconica che dir si voglia, nel momento in cui nell’estenuata conclusione del secolo della modernità ( e l’eredità che ci lascia é il dubbio del ” CHE FARE? ” ) l’essenza preponderante di questa componente risulta essere la categoria storico-esistenziale della ripetizione usata a copertura di una valenza pittorica ormai inessenziale, come conferma la diffusa pratica delle istallazioni.

Ed é questa la peggiore condanna per un secolo che ha esaltato l’originalità, intesa come ripudio accanito del passato e del presente, UP TO DATE, come condizione necessaria e sufficiente della validità dell’arte. Far procedere il discorso artistico producendo opere di innegabile originalità é quindi il difficile obiettivo di questo finale di partita, che Maria Teresa Cazzadori ha realizzato con risultati storicamente innovativi, validi sul piano estetico, sia per lo spessore dei contenuti sia per l’organizzazione formale.

E un titolo ancora va a lei attribuito, ma forse é questa la ragione profonda della positività dei suoi risultati : la novità della tecnica grafica. Infatti questa di Maria Teresa Cazzadori é una mostra di grafica ma in realtà qui bisogna parlare di pittura. Perché i risultati sono quelli. E lei ha trovato i margini storici per mandare avanti il discorso, ha trovato modo di operare dentro gli spazi esigui rimasti all’aniconico, proprio inventando una tecnica grafica che permette di ottenere quei risultati. La novità consiste nel far pittura, anche con i mezzi della grafica. Non occorre essere devoti a Jung, per cogliere nella disposizione delle masse cromatiche, nell’accettazione e nella composizione dei colori, nella diversa qualità dei segni, l’emergere di tensioni che nascono nel profondo dell’animo umano, in quell’inconscio collettivo che presiede allo spirito del tempo, e si confrontano con guide archetipiche come se questo inconscio collettivo imponesse una necessaria disciplina di natura estetica a quelle forme che sgorgano incontenibili e si confermano inesauribilmente espressive: così Maria Teresa Cazzadori realizza quella interpretazione delle esigenze culturali del secolo, che é l’aspirazione di ogni artista al di là dei risultati personali.

Oltre il Segno, verso la pitto-scultura

di Paola Azzolini, L’Arena di Verona, 1996

Tele come muri scrostati, annerite, segnate dal rosso di incendi remoti, da solchi che fanno affiorare l’anima bianca sottesa; legni su cui il tempo ha lasciato la sua ruvida carezza, ferri divorati dalla lebbra del passato, superfici oscure su cui si aggrumano onde ruvide di magmi preistorici  bagliori di fuoco che s’affacciano tra grigiori e baluginare bianco di pomice; ma anche carte che s’addensano in segreti rilievi, misteriose topografie sbiadite, dal biancore latteo più o meno intenso, come ” perla in bianca fronte ” : una materia varia che torna a parlare un suo arcano linguaggio. Le opere di quest’ultimo periodo di Maria Teresa Cazzadori, dialogano fittamente con i materiali, resuscitandoli nell’esplorarne le tracce, nell’individuarne i segni che affiorano da fondi remoti, da densità luminose che si ispessiscono in misteriose, indecifrabili, scritture. La materia, la tela, la carta, il legno o il ferro, si combinano con il segno, in un alfabeto primigenio e modernissimo; graffiti di una remota vicenda, interiore o esteriore, non conta. Certi legni corrosi , incisi, segnati dai nodi, dialogano con il ferro rugginoso di arnesi inservibili, evocando le tracce delle mani che li hanno lavorati e perduti, nel gorgo del tempo. Le tele giocano su colori non fondamentali, quali il bianco ed il nero, nelle loro infinite variazioni; ma questo universo, quasi monocromo, si manifesta, anche, come un oggetto tattile. Sono tavole e tele, non solo da vedere, ma da toccare; quasi un alfabeto braille, per rendere evidente la fisicità del rapporto con la pittura. Quello che importa non é la rappresentazione di qualcosa, ma l’autosufficienza del linguaggio in cui convivono segno e progetto. L’artista esibisce, infatti, la trama delle sue incisioni, il cammino del suo progresso creativo : ritmo e luce si svolgono nella sequenza del nero, sempre più nero, dei bianchi, dei grigi ed ancora dei bianchi, delle forme appena alluse e subito sprofondate nella tela, come nella terra di una sterminata pianura, dove sia appena terminata una cruenta battaglia. Come i muri scavati e corrosi di Tapies, i sacchi lacerati e bruciati di Burri, le fragili sculture dell’arte povera, le pitto-sculture di Mariateresa Cazzadori esprimono la storia di un conflitto indicibile tra noi ed il mondo che é intorno a noi. Il dramma di questo dialogo con la materia, confina col silenzio, con l’enigma; convoglia le emozioni che giacciono sotto la soglia del cosciente e le elabora nel dialogo con l’oggetto, con le resistenze dell’oggetto. La materia rinasce , non come materia inerte, bensì come memoria dell’oscurità che l’artista ha attraversato, per ritrovarla e ritrovarsi; e l’opera è il coagulo delle risultanze, fra intenzioni formali e resistenza, dell’attualità di ogni tipo di materiale adoperato. Diceva Fautrier che non si fa altro che reinventare ciò che è, restituire in sfumature emotive la realtà che é insita nella materia, nella forma, nel colore, quali risultati dell’effimero risolti in ciò che non muta più. La Cazzadori si sprofonda nel materiale che ha davanti cercando di coglierne il messaggio profondo. Inizia un dialogo che è un’avventura perché non sa dove porterà. Il suo é un furore freddo, che non ha nulla in comune con il segno emotivo ed allucinato dell’Action painting. Dalla necessità della ricerca inizia il suo sprofondamento nelle tenebre, nella sordità ottusa , senza tempo e senza spazio, della ” COSITA’ dell’essere. E’ come se, la materia sorda, il nero-bianco sotto le mani abili dell’artista, recuperasse una sua “memoria ” , che é memoria di relitti, di esistenze sepolte, bloccata nei segni, talvolta infinitesimi, nei grumi o nella piatta stesura del colore. Ma il dramma non si consuma in un informe mucchio di braci, nell’angoscia che schiaccia e sommerge il segno artistico. Il lirismo, esibito e sottile del lavoro dell’artista, redime, nella laboriosa ricerca del pennello, dell’incisione, dell’assemblaggio scultoreo, le tracce dell’antico naufragio.

La peinture sublime de M.T. Cazzadori

Chapelle des Jèsuits, Nimes, France, Marie Carreton, 1996

La peinture de M.T. Cazzadori est très subtile. Le premier coup d’oeil donne une approche plutot abstraite de cette peinture. Ensuite le regard nous révèle les véritables qualités de l’oeuvre qui, sans etre figurative, reste académique dans sa modernité. Les qualités sont rythmes et lumières. Cé ramiste, sculpteur, graphiste et enfin peintre elle a énormément travaillé pour parvenir a étre un artiste complète. Toutes ses experiénces, toutes ses connaissances  l’ont amenée peu à peu à eliminer le superflu et a requérir à des moyens s imples. Le résultat nous montre actuellement ce qui pour elle est l’essentiel dans sa peinture. Pour mieux voir l’évolution, il suffit de regarder les tableaux plus anciens: les formes et les couleurs nous donnaient a voir un travail de composition figée voire enfermée dans une espace donné. A’ présent la peinture n’est plus que rythmes, silences, ombres et lumières ……..

Courants d’Art e la Ville de Nimes ont presenté. apré de la Chapelle des Jésuits Gran Rue, a Nimes:Marie Teresa Cazzadori, peintre Italienne. Article de Marie Carreton -Specialiste d’art contemporain-Nimes(France)

La nobiltà dell’Arte Povera

di Giorgio Trevisan, L’Arena, 1992

Combinando sulla tela i suggerimenti dettati dall’istituto creativo e dal razionale controllo della mano esecutrice, M.T. Cazzadori crea una pagina pittorica sulla quale affiorano ricordi, realtà  apparentemente dimenticate, eventi del passato sepolti nei meandri della memoria. Nei suoi lavori recenti, sottilissimi strati di colore, mai trasportati ma fortemente contrastati, esibiscono una consistenza materica definita da sovrapposizioni insistite di pigmento in grado di rivelare immagini che sembrano estratte da una realtà e da un sentimento appena affioranti dalla mente e dal cuore. L’immagine ideata e costruita sulla superficie delle sue opere, appartenente all’universo dell’astrazione, accoglie strutture formali e tracce di colore- non colore, che si manifestano come esiti di un attento lavoro di progettazione dello spazio e della sua metodica ricostruzione. Nei suoi quadri conquistano dignità  espressiva proprio quelle immagini che lo sguardo distratto difficilmente vede e memorizza. Muri consunti, parete sbrecciate, sembrano rievocare figuralità’ lacerate che, pur nella loro trasfigurata presenza, conservano in se stesse la veridicità  di un pensiero che ne rintraccia le radici, rivitalizzandole sulle superfici dell’opera. Spesso, la pittura di M.Teresa Cazzadori si realizza in solide ricostruzioni di “figuralita senza fissa dimora”, in prelievi di un lontano mondo immaginario. Ed é proprio grazie alla materia, che si scompone e ricompone, che si sfuma e si addensa, che lei riesce a dar vita a una espressione pittorica prodotta come lento e infrenabile sommovimento tellurico in continua e mai definitiva composizione. Espressione che si adegua e sviluppa, sovente, quando il materiale sul quale il progetto prende forma e’ un vecchio legno, una lastra di ferro, oppure un frammento di terracotta. Ricerca di immagini e di radici, ricerca di presenze lontane, ricerca di materiali da manipolare, da piegare, da rendere parte integrante del progetto, che progetto non è.

Tracce sull’usato

Verona Sette, Vera Meneguzzo, marzo 1994

………….Maria Teresa Cazzadori sta attuando una ricerca che la impegna a trovare reperti consunti, oggetti confinati nella soffitta, carte ondulate, cartoni sbrecciati……….

Ad essi conferisce un riconoscimento di nobiltà. Li preferisce, spesso, a materiali più rassicuranti e canonici,  assicurando loro una sovranità espressiva  intellettuale e raffinata.  Sono superfici  cui , più che la carezza virtuosa del pennello si addice il gesto maschio e deciso della spatola oppure l’opera indifesa delle dita nude nell’impasto dei gessi, degli acrilici …….

Allora sulla base, che già di per sé reca una traccia del racconto (la Cazzadori non ignora mai i suggerimenti dell’esistente) , appaiono bassorilievi dalle forme ignote, incisioni avvallamenti, sentieri, calanchi. Una specie di comunicazione scritta in alfabeto Braille, un quadro che si può ” vedere ”  anche al tatto.

Che usa gli ideogrammi delle crepe  e dei graffiti, o il disegno concentrico degli assiti dilatato in gigantesche impronte digitali.

Il fascino della ricerca

Verona Sette, Vera Meneguzzo, 5 marzo 1993

“Il fascino della ricerca”. Un motto coniato per identificare se stessa, la sua esplorazione nel recinto mai chiuso dell’arte, il porsi autobiografico attraverso un linguaggio sempre più scarnificato, icastico, emozionante, severo.  La Cazzadori viene  da un figurativo accettato solo come esercizio sviluppatosi in diverse fasi contrassegnate  da successivi passaggi in cui era ancora imbrigliata dalle necessita’ di un segno riferito alla sostanza; dal colore ossequiente alla legge delle concordanze e dei contrasti; da un paziente lavoro condotto sui materiali plastici della ceramica per cavarne, poi, i segreti da trasferire nella pittura. Una lunga maturazione che produce, oggi, ragguardevoli risultati. per opere che paiono scoprirsi sotto la pressione leggera dei polpastrelli che scosta via della polvere di calce. Affiora, allora, un disegno puramente mentale. Fatto di toni parsimoniosi, di tinte indecifrate, sul percorso materico e gessoso simile allo scheletro minimo di un proteo primordiale. Oppure al sistema della genesi su cui sono costruite forme e suoni. O al progetto di un sogno meravigliosamente organizzato. Per la Cazzadori, ciò che conta, non  è l’immagine ma la sua traccia. Un realizzare sulla tela la sensazione forte di una presenza, di un ricordo, di un brivido non chiaramente identificati, ma di cui, nel cuore e nella mente, sono rimasti impressi emozione e parvenza. Un cancello chiuso su una strada in collina, un muro segnato dalle rughe del suo passato, un profilo umano intravisto per un attimo e mai dimenticato. Il tutto sostenuto da assonanze numeriche, fatte di equilibri e di esatte soluzioni, in parallelo alle eterne armonie matematiche e geometriche del mondo.